Non ci vuole proprio stare in gruppo. Sia al Giro, sia al Tour dopo un po’ gli prende la fregola e va… Qualche volta vola verso la vittoria, molte altre no ma poco importa.

Ben Healy, 24 anni, battitore libero di quella squadra di “corsari” che è la Education First anche in questo Tour d’Italie è partito pedalando nel solo modo che conosce: in avanscoperta. Così nella prima tappa da Firenze a Rimini dove ad un certo punto ha allungato complicando forse anche un po’ i piani al suo compagno di squadra Alberto Bettiol che sognava di vestirsi di giallo nel Tour d’Italie, e così ieri verso Bologna dove ad una certo punto si è trovato a bagnomaria tra fuggitivi e inseguitori a dannarsi l’anima da solo col vento in faccia. Ma va così. Difficile tenerlo in scia, nei ranghi, nella logica forse anche nelle tattiche. Che poi lo vedi pedalare e non gli dai due lire…Anzi due sterline visto che Healy è nato a Kingswinford nelle Midlands occidentali inglesi a 5 miglia da Dudley, ma in realtà è un irlandese perchè irlandesi sono i suoi suoi e lui ha preferito il passaporto di famiglia pensando che in Irlanda avrebbe avuto più possibilità di pedalare e farsi notare che non in Inghilterra.

Capelli  lunghi, barba lasciata andare, orecchini, faccia scanzonata e sorrisetto furbo di chi non si capisce bene se sia più timido o già la sappia lunga,  uno così te lo aspetti di più in un pub del Donegal o a un concerto dei Pogues o dei Waterboys. Invece te lo ritrovi al Tour in bici e lo riconosci da lontano perchè pedala male. Ma proprio male. E’ tutto storto, sta con i piedi larghi, si alza, si risiede, scatta, si agita con le spalle, scatta di nuovo.

Non è un modello di stile, però va forte, fortissimo e quindi gli si perdona parecchio. E’ uno di quei corridori che ha l’allergia a stare in gruppo, infatti appena può se ne va da solo. Sembra che scatti per caso, perchè qualche centinaio di metri più avanti ha appuntamento con i parenti da salutare, e poi non lo prendi più. Quasi sempre, quando si tratta di raccontare le imprese di questo scapigliato, anarchico pedalatore anglosassone, bisogna raccontare due corse: la sua e quella del gruppo che lo bracca.

Lui un bel po’ di chilometri se li fa sempre davanti per fatti suoi e succeda quel che succeda. Pianura, discesa, salite: prende e va. Corre in strada come se corresse in mountainbike dove aveva cominciato tanti anni fa. Poi ha fatto bene a cambiare idea. A dire il vero a fargliela cambiare erano stati i tecnici irlandesi della sua squadra di allora che gli avevano fatto intendere che le ruote grasse per lui non erano cosa e lo avevano scartato. Ma la fine spesso è un nuovo inizio e così il giovane irlandese aveva pensato (bene) di provarci in strada incoraggiato da Martin O’Loughlin l’uomo che ha ricostruito il ciclismo della nazionale irlandese.

L’aveva preso in parola vincendo la Ronde de l’Isard in Francia, considerata una delle migliori gare under 23 al mondo, e un tappa al Tour de l’Avenir. Poi sono arrivati la Zappi, il contratto con la Trinity e, tre anni fa, quello da professionista con la Education First. “Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette…”  canterebbe Francesco  De Gregori se la “Leva calcistica del 68” fosse stata scritta per un ciclista…

In effetti Ben, 175 centimetri d’altezza per 64 chili, di strada dovrà farne ancora un po’ per chiarirsi le idee perchè cosa sia adesso non lo sa forse neppure lui. Se un passista, se uno scalatore, se un finisseur, se un corridore per le corse a tappe, se qualcos’altro ancora. Ama la bici e ama pedalare. Parte e va spesso lo riacciuffano per qualche volta (più di qualche volta) vince come anni fa in una tappa al Giro Baby che è un bel segnale ma spesso non vuol dir nulla perchè poi tanti si perdono… Come lo scorso anno, sempre al Giro ma quello dei grandi, nella tappa di Fossombrone; come a Forlì nella terza tappa della Settimana Internazionale Coppi&Bartali; come a Larciano nel Gp Industria e Artigianato, come i podi nelle Ardenne alla Freccia del Brabante e all’Amstel Gold Race quando fu l’ultimo ad arrendersi sul Kortenberg a quel fenomeno di Tadej Pogacar.

Sempre là davanti, da solo, in direzione ostinata e contraria e, piano piano, la sua faccia ruba spazio nel cuore degli irlandesi a quella di Sam Bennet, volto noto di una generazione “easy going” che al buon carattere aggiungono nel suo caso classe e tenacia. E comunque il primo a capire che aveva la stoffa era stato suo nonno che, quando lo vide pedalare anni fa su una strada di Cork, si era messo le mani nei capelli pensando forse ciò che continuano oggi a pensare un po’ tutti: “My god quanto va forte… Però pedala proprio male…

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Antonio Ruzzo
Sposato, con tre figli, giornalista professionista dal 1995. Il mestiere mi ha portato per anni a raccontare storie di nera e di morti ammazzati, la vita a inseguire sogni e passioni in bicicletta. Triatleta (scarso) da anni racconto quotidianamente lo sport nel blog “Vado di corsa” sul sito di un quotidiano nazionale. Ho un debole per chi non vince mai, per chi sa che il traguardo è lontanissimo ma non molla e per chi impazzisce per il profumo dell'olio canforato.

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