“Un giorno padre Nicanor portò il tavoliere ed una scatola di gettoni per giocare a dama, ma Josè Arcadio Buendia non accettò ed espose le ragioni del rifiuto in modo che meravigliò per la sua lucidità il prete, affermando che non aveva mai potuto capire il significato di una contesa tra due avversari d’accordo sui princìpi. Padre Nicanor, che non aveva mai considerato il gioco della dama da quel punto di vista, non riuscì più a giocarlo.”
Così scrisse in “Cent’anni di solitudine” Gabriel García Márquez detto Gabo, colombiano naturalizzato messicano, Premio Nobel per la letteratura nel 1982.
Quando morì, dieci anni fa, Garry Kasparov scrisse: «Le mie condoglianze a tutta la Colombia per la morte di Garcia Marquez. Chiunque ha vissuto sotto una dittatura è stato toccato da Cent’anni di solitudine».
Se Padre Nicanor non riuscì più a giocare a dama, altrettanto non accadde a Marquez con gli scacchi, che pure avevano il medesimo presupposto. In realtà Márquez era fortemente attratto dagli scacchi, come dimostra il fatto che nell’altro suo grande romanzo, «L’amore ai tempi del colera», vi sono molti riferimenti al gioco. Per esempio:
«(…) c’era la scacchiera con una partita non conclusa. Malgrado la fretta e l’animo malinconico, il dottor Urbino non resistette alla tentazione di studiarla. Sapeva che era la partita della sera prima, dato che Jeremiah de Saint-Amour giocava tutti i pomeriggi della settimana e almeno con tre avversari diversi, ma arrivava sempre fino alla fine e poi metteva la scacchiera e le pedine nella scatola, e metteva la scatola in un cassetto della scrivania. Sapeva che giocava con i bianchi, e quella volta era evidente che sarebbe stato sconfitto senza rimedio in quattro mosse.»
«Era stata quella l’epoca in cui era venuto Jeremiah de Saint–Amour, già con i suoi ginocchi morti e ancora senza l’attività di fotografo di bambini, e prima che fossero passati tre mesi era conosciuto da chiunque sapesse muovere un alfiere sulla scacchiera, perché nessuno era riuscito a vincergli una partita. Per il dottor Juvenal Urbino era stato un incontro miracoloso, in un momento in cui gli scacchi si erano trasformati per lui in una passione indomabile e non gli restavano più molti avversari per saziarla.» /…/ «Fu lì dove Lorenzo Daza insegnò a Juvenal Urbino le prime nozioni degli scacchi, e lui fu un allievo così diligente che gli scacchi si trasformarono in un’assuefazione incurabile che lo tormentò fino al giorno della sua morte.»
Tuttavia il racconto di Marquez più specifico sul gioco è «Una strana notte in Colombia», che racconta una nottata realmente vissuta da Paul Badura Skoda (Vienna, 6 ottobre 1927-Vienna, 25 settembre 2019), pianista, musicologo, direttore d’orchestra austriaco, e Boris de Greiff Bernal (Medellín, Colombia, 13 febbraio 1930 –31 ottobre 2011) Maestro Internazionale, autore di libri di scacchi, figlio del poeta León de Greiff.
C’è una ‘nota introduttiva’: “Proprio ieri García Márquez, collaboratore del Corriere della Sera, ci ha mandato questo articolo, nel quale si racconta una «strana notte» trascorsa a Bogotà dal pianista austriaco Paul Badura Skoda”.
Poi inizia il racconto: «Passando per Bogotà, due settimane or sono, il geniale pianista austriaco Paul Badura Skoda stupì un gruppo di amici con la dimostrazione di una passione più totale di quella per la musica: gli scacchi.» /…/ «Sicché quando disse che voleva giocare a scacchi, i suoi amici chiamarono per telefono il maestro Boris de Grieff – che è uno dei maggiori giocatori del mondo – e questi non si fece ripetere due volte la richiesta. Erano le cinque del pomeriggio. Boris de Grieff promise che alle sette sarebbe andato da Badura Skoda nel suo albergo.»
Nel racconto Boris de Greiff, entrato nella camera d’albergo di Badura-Skoda, lo aveva trovato mentre studiava su una scacchiera magnetica l’ultima partita del match tra Robert Hubner e Viktor Korchnoi (match che – lo ricordiamo – fu giocato in Italia, a Merano, nel dicembre 1980, e fu vinto da Viktor per ritiro dell’avversario).
Così Marquez descrive la camera: «Quella stanza sembrava più quella di un giocatore di scacchi che di un musicista. Non c’era un solo spartito. Invece, sul tavolo c’era un libro di scacchi in inglese ed un altro in tedesco. Entrambi molto specialistici. E c’erano anche molti ritagli della rubrica scacchistica del Times di Londra e del New York Times».
La lunga notte iniziò alle otto e l’incontro durò sei ore, i due avversari giocarono quattro partite (nella prima Boris de Greiff, giocando coi bianchi, aprì con il Pedone di Re. Badura Skoda replicò con la ‘difesa siciliana’); Badura Skoda perse tre partite, e pattò la quarta; ovviamente non rimase soddisfatto del risultato ottenuto ed alle tre del mattino si mise ad analizzare le partite, finché Boris de Grieff non lo aiutò a scoprire quali erano stati i suoi errori decisivi.
Il racconto si conclude così: «A tutti i testimoni di quella notte irrecuperabile restò l’impressione che Badura Skoda – che è uno dei pianisti più famosi dei nostri tempi – sia in realtà un giocatore di scacchi che suona il piano solo per vivere».
La biografia di Badura Skoda con le notizie scritte dal suo amico, il Maestro Internazionale e scrittore Miguel Ángel Nepomuceno, la troviamo nel pregevole articolo «Ajedrez entre pentagramas», pubblicato nella rivista telematica «Zenda».
Badura Skoda era tenuto in grande considerazione dai suoi colleghi musicisti (Wilhelm Furtwängler lo adorava, David Oistrakh lo benediceva ed Herbert von Karajan lo rispettava a tal punto da permettergli di ritardare in un concerto della Filarmonica di Berlino per consentirgli di terminare la sua partita nella simultanea tenuta da Capablanca).
Nepomuceno rende noto, che Badura Skoda aveva giocato oltre che con Capablanca, anche nelle simultanee tenute da Alekhine, Lasker e Fischer (pattando con entrambi), vincendo in quelle con Bronstein, Petrosian e Karpov, e perdendo con Kasparov.
Gabriel García Márquez, o per esse precisi Gabriel José de la Concordia García Márquez, scrittore, giornalista e saggista, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1982, nacque ad Aracataca in Colombia il 6 marzo 1927. Nell’ultima parte della sua vita si stabilì a Città del Messico dove morì il 17 aprile 2014. Venne provvisoriamente sepolto nel cimitero “Mexico City National Cemetery”, poi nel maggio del 2016 le sue ceneri furono trasferite nel patio centrale del “Claustro de la Merced” dell’Università di Cartagena in Colombia, dove fu eretto un monumento con il busto in bronzo dello scrittore, opera di Katie Murray, artista britannica amica di famiglia.
Adolivio Capece