La cronometro toglie, la cronometro dà. Primož Roglič vince oggi la cronoscalata del Monte Lussari e vola in rosa a Roma dove, domani, festeggerà davanti al Colosseo il suo primo Giro d’Italia. Certo, per i puristi del ciclismo l’Arco di Trionfo non è l’Arco di Costantino, anche se il primo di Parigi si ispira al secondo di Roma. Ma la cronometro del 2020 al Tour, nella quale lo sloveno prese secondi e perse la gialla l’ultimo giorno a favore di Pogacar, si può dire sia ormai un ricordo. Forse, a distanza di tre anni, la rivincita ha un sapore più dolce proprio perché dice che il tempo alla fine l’ha migliorato invece di fiaccarlo nel fisico e, soprattutto, nel morale. Dice anche che Primož, almeno una volta, non è secondo in grande giro che non sia la Vuelta.
In questo Giro delle ‘rivincite’, ad un certo punto è sembrato che la sorte stesse per riconsegnare a Thomas quello che nelle precedenti edizioni gli aveva tolto. Il salto di catena di Roglič è giunto in un momento in cui la distanza tra i due era così lieve da non permettere ancora allo sloveno il sorpasso. Primož è stato più forte anche di quel contrattempo: ‘Non ho pensato nulla quando è successo. Non dipendeva da ma e, logicamente, non era una cosa che potevo programmare. E’ accaduto. Sono risalito in bici e ho continuato a spingere, cercando di fare il meglio che potevo.’
I tecnici ci diranno che la scelta di una monocorona, rapporto agile (molto agile) ha pagato contro il rapporto più duro di Thomas. Forse. Noi restiamo legati invece all’analisi che facemmo già all’inizio del Giro, quando ancora correva addirittura Evenepoel: lo sloveno nelle crono ha sempre mostrato di avere un fondo superiore agli avversari, recuperando terreno (anche quando ha perso) nei chilometri finali. ‘Fondo’ vuol dire ‘condizione in crescita’. Crescita che ha toccato il culmine in questa terza settimana. Il passaggio a vuote del Bondone fa parte di tutto questo. Ma in tutte le altre tappe Primož è apparso sempre più a suo agio quando i chilometri salivano e la durata della tappa si protraeva.
“È una sensazione incredibile – ha detto a caldo –. Avrei potuto perdere tutto, ma fa parte delle corse. Il pubblico mi ha dato qualche watt in più e mi sono goduto l’atmosfera e l’energia dell’evento. Manca un giorno alla fine. Il percorso è di domani è tecnico. Non è finita finché non è finita, ma siamo vicini ad un finale meraviglioso.”
Meritano sicuramente un elogio i tre corridori che gli sono finiti alle spalle. Geraint Thomas ha corso come meglio non poteva, dall’alto delle 37 primavere. L’unico vero errore l’ha commesso ieri, alle Tre Cime. Pensando di averne, ha allungato nell’ultimo chilometro, nel tentativo di staccare Roglič. Lo sloveno ha risposto e a sua volta l’ha staccato, anche se solo di 2″. Ma nella sua testa si è fortificata la convinzione che lasciare dietro il gallese era possibile… e così è stato.
João Almeida è di quei predestinati con un Giro o un Tour nel destino. Giovane e abbastanza forte da mettere in difficoltà chiunque, fa della regolarità la sua cifra stilistica. Non è un ‘over’ come Pogacar o Evenepoel, ma dietro di loro, nelle corse a tappe, c’è anche lui. Ne sentiremo ancora parlare.
Damiano Caruso non poteva mancare al Giro dei ‘vecchietti’. Con 35 primavere alle spalle si difende a cronometro forse meglio che in salita, che resta però il suo terreno preferito. Salva l’onore del ciclismo italiano per quanto riguarda la generale, mentre lascia ai giovani nostrani di portare in alto i nostri colori nelle vittorie di tappa. Non sappiamo ancora quali siano i suoi programmi, ma senza Nibali è su di lui che dobbiamo puntare se vogliamo costanza, coraggio ed esperienza. Sarà buono anche per un mondiale?