Ieri Tadej Pogacar, con il quarto successo di questo Tour a Isola 2000, ha completato l’opera: Giro e Tour tornano sotto lo stesso padrone a distanza di 26 anni. L’ultimo a riuscirci fu Marco Pantani, nel 1998.

Pogacar e Pantani non hanno in comune nulla, se non due cose. La P iniziale del cognome e la velocità con la quale saltano gli avversari in salita. Le cronache ci raccontano del Piccolo Principe che ieri ha fatto fare la figura degli amatori ai vari fuggitivi, recuperati mentre volava verso Isola 2000. Ci ha ricordato, in questo, proprio il Pirata, nelle sue fantastiche cavalcate verso la vittoria: allora come oggi gli avversari saltati come fossero cicloturisti di passaggio.

Le analogie tra i due finiscono qui. Pogacar esprime gioia e divertimento, anche quando picchia come un fabbro sui pedali. Pantani è sempre stato un eroe epico, sofferente e malinconico anche nella vittoria. Ricordiamo tutti la famosa risposta a chi gli chiedeva come mai andasse così forte in salita: ‘perché finisce prima la sofferenza’.

Al termine della tappa di ieri Tadej ha ringraziato il suo rivale, ormai staccato di oltre 5′: ‘senza di lui non sarei diventato quello che sono. Oggi il miglior Pogacar di sempre’. Eppure la distanza tra i due è tornata quella di tre anni fa quando, ed era il 2021, il Piccolo Principe vinceva la sua seconda Grande Boucle e lasciava ad oltre 5 proprio il danese, allora alle soglie della sua esplosione come campione. Sembra quasi che il tempo si sia fermato.

Adesso sarà da capire se in questi due anni è stato Pogacar a non dedicare la giusta attenzione alla corsa francese, lasciando campo libero al danese, o se sia effettivamente cresciuto aumentando la distanza dell’avversario. Il quale, da parte sua, ha la non irrilevante scusante di un stop mortifero ad aprile e di una preparazione approssimativa.

Per sciogliere i dubbi dobbiamo attendere il prossimo anno… Evenepoel permettendo.

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Antonio Ungaro
Giornalista sportivo e blogger. I primi ricordi sportivi sono le imprese di Gimondi al Giro d'Italia e il 5 Nazioni raccontato da Paolo Rosi. Dietro ad ogni sportivo c'è una storia da raccontare; tutte insieme raccontano un Paese che cambia. Sono convinto, parafrasando Mourinho, che chi sa solo di uno sport non sa nulla di sport.

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