Perché il caso Sinner clostebol ha sollevato così tante polemiche? Ci sono diversi punti che non quadrano in questa storia e credo che la frase di Zverev alla fine sia quella che li sintetizza meglio: “Se è innocente non doveva essere fermato, se colpevole tre mesi sono pochi”.
Il problema è a mio avviso questo. La WADA e in generale l’attività di contrasto al doping ha il compito di individuare chi bara, ovvero chi fa uso di sostanze e metodi che alterano la prestazione e, in un determinato periodo storico, sono considerati vietati. Perché, ed è bene ricordarlo, non tutti i prodotti e/o metodi vietati oggi lo erano in passato e viceversa.
Se questa è la funzione dell’Agenzia mondiale e delle varie agenzie nazionali, allora il problema che si deve porre i giudice difronte un caso di positività è assiale: ‘siamo al cospetto di doping?‘. Per capirlo dobbiamo prima di tutto definire la parola. Cosa è ‘doping’?
In Italia la legge del 2000, all’art. 1, recita: “Costituiscono doping l’assunzione o la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.
Non entriamo troppo nel dettaglio e accettiamo per buona questa definizione. Quindi, in caso di positività di un atleta bisogna chiedersi se la presenza di quel principio nel corpo sia dovuto per ‘modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche’. E’ evidente che i casi di ‘contaminazione’ rientrano nella fattispecie di doping solo se l’assunzione involontaria è tale da modificare le prestazioni. Negli altri casi, non è doping.
Tutta questa premessa per affermare che in questi anni la WADA, per ragioni a volte condivisibili, in altri casi inspiegabili, ha affrontato il problema delle contaminazioni con approcci diversi. La critica maggiore, quindi, riguarda questa incongruenza di trattamento che alcuni hanno spiegato con ragioni geopolitiche (vedi i casi dei nuotatori cinesi), altri con la forza degli avvocati (vedi caso Sinner).
Quello che però si è persa di vista da parte di Wada è la sostanza, ovvero in caso di contaminazione, un atleta ha assunto un prodotto che ne ha alterato le prestazioni? Se l’organismo internazionale si fosse posto il problema da questo punto di vista, probabilmente molte ingiustizie non si sarebbero realizzate. La giustizia sportiva, è bene ricordarlo, è sommaria, perché si basa su presupposti giuridici diversi da quelle che regolano la vita della società civile. Il mondo sportivo non ha a disposizione, per esempio, strumenti di indagine per poter approfondire eventuali notizie di infrazioni, ma si deve basare sulle evidenze e sulle prove raccolte da altri soggetti. Spesso, anzi sempre, la giustizia sportiva deve decidere in tempi brevi, per evitare che un possibile colpevole infici i risultati seguenti. Insomma ha tutte le giustificazioni per ‘non andare molto per il sottile’. Per questo, però, riguardo il problema del doping, avrebbe dovuto affrontarlo in maniera netta e pragmatica, ed accettare il principio che è doping solo l’assunzione volontaria (o la realizzazione di pratiche) atte ad alterare la prestazione.
Il concetto di negligenza, nel tentativo di colpire qualche furbetto colpevole, ha introdotto una discrezionalità che ha portato, oggi, a dividere il mondo del tennis e non solo. Sinner, con la forza dei suoi avvocati, ha messo in evidenza proprio l’incongruità di questo principio, avviando quel processo di riforma dell’antidoping mondiale che porterà a rivedere le regole per quanto riguarda le ‘contaminazioni’.
Che l’abbia potuto fare un giocatore multimilionario, grazie alla potenza e capacità del proprio ufficio legale, conferma che la giustizia, in tutte le parti del mondo ma soprattutto in Occidente, è di classe (più soldi hai, più sei innocente). Un’amara presa di consapevolezza per molti idealisti liberali, ma che non cambia la bontà complessiva di quella battaglia che, sinceramente, mi auguro porti ad una lotta al doping più rispettosa di tutti gli sportivi.