Il Tour de France, edizione 108, partirà da Brest, il cuore della Bretagna, l’ultimo e più a ovest avanposto della Francia verso l’Atlantico. In certe giornate invernali il vento che batte impetuoso solleva onde che raccontano storie di uomini e mare: tragiche e romantiche come la natura dei bretoni. Il Tour che parte lì dove l’erica la fa da padrone, dove il clima non è mai banale, dove il fango e la pioggia sono di casa, ci riporta ad un ciclismo bello e esaltante. Ci ricorda, soprattutto, del “tasso” Bernard Hinault, il cui volto duro e scolpito è stato secondo forse solo a quello di Bartali. Ma, non ce ne vogliano gli appassionati di Ginettaccio, capace di vincere di più del toscano, disegnando un pezzo di questo sport difficile da eguagliare.

Il Tour è unico e inimitabile. Perché ha il coraggio di innovare restando sempre fedele a se stesso e ai propri principi. In questo caso, scorrendo il percorso che da Brest porterà a Parigi con un andamento orario, vuol dire due tappe a cronometro per complessivi 58 chilometri.

Chi disegna il percorso di questo racconto epico che si dipana da quasi 120 anni sa bene che i campioni si esaltano su tutti i terreni, non solo in salita. Mentre da noi si cerca lo spettacolo facile, in Francia si ripropone una sfida che vale come università, anzi un dottorato.

Dicevamo del percorso. Oltre alla due tappe a cronometro ci saranno anche 6 tappe di montagna con tre arrivi in salita. Ci sarà la doppia ascesa del Ventoux, montagna mai banale, figuriamoci scalarla per due volte nella stessa tappa. Ci sarà il Colombiere e si volerà poi anche oltre i 2000 metri. Il punto più alto ad Andorra, attorno ai 2400. La sequenza delle ascese sarà Massiccio centrale, Alpi e Pirenei, chi si troverà in testa dopo l’ultima frazione di montagna, a Luz Ardiden, poi dovrà resistere anche ai trenta chilometri della crono di sabato. Proprio a cronometro, lo scorso anno, si consumò, nell’ultimo giorno, il parricidio di Pogacar ai danni di Roglic.

E dall’eterna lotta tra “padri e figli” si riparte anche in questa edizione. Sono loro due i favoriti. Ci spiegheranno in futuro, forse anche meglio di quanto fatto in questi mesi, perché la Slovenia mena a destra e manca nel ciclismo. Per ora ne prendiamo atto. Probabile una rivincita di quanto accaduto nel 2020 ma questa volta Ineos ci sembra più strutturata per dire la propria. La formazione britannica ha talmente tanti corridori in grado di vincere una corsa a tappe che alla fine appare impossibile possa perderla: Thomas, Carapaz, Geoghegan Hart, Porte…

Sullo sfondo di questa splendida avventura ci sono i Giochi, che si celebreranno di lì a pochi giorni dall’arrivo a Parigi. Il dubbio, dal punto di vista tecnico, sarà: la Grande Boucle varrà come buon allenamento per Tokyo oppure rischia di bruciare energie al punto da lasciare esausti al termine?

Nessuno potrà mai dare una risposta certa, viste le tante variabili in gioco. Certo è, però, che nessuno contraccambierebbe un successo a Parigi con la maglia a cinque cerchi. E quando un evento è più importante delle Olimpiadi vuol dire che siamo nel campo della leggenda.

E gli italiani? Non folta la pattuglia dei partecipanti, come accade ormai (e purtroppo) da tempo. Tra questi Nibali, l’ultimo italiano ad aver trionfato a Parigi. Lui e Formolo appaiono quelli in grado di poter produrre qualcosa di interessante. Crediamo, però, che non potendo lottare per la vittoria, la loro attenzione sarà soprattutto a preparare l’appuntamento olimpico.

Certo che con 60 chilometri di cronometro un pensierino Filippo Ganna avrebbe potuto anche farlo: se non ci fosse stata la pandemia e lo spostamento dei Giochi, allora forse avremmo potuto raccontare un’altra storia.

Forse in futuro…

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Antonio Ungaro
Giornalista sportivo e blogger. I primi ricordi sportivi sono le imprese di Gimondi al Giro d'Italia e il 5 Nazioni raccontato da Paolo Rosi. Dietro ad ogni sportivo c'è una storia da raccontare; tutte insieme raccontano un Paese che cambia. Sono convinto, parafrasando Mourinho, che chi sa solo di uno sport non sa nulla di sport.