PARIGI – Le Olimpiadi sono il metronomo della nostra esistenza, perché ogni quattro anni scandiscono i momenti della nostra vita. Ad ogni Olimpiade pensiamo a dove eravamo durante l’edizione precedente e quella prima ancora.

Ecco, adesso immaginate dove sarete e come sarete durante l’edizione di Los Angeles 2028: se avrete un nuovo lavoro, se avrete una casa nuova, se vi sarete trasferiti o se avrete un figlio. Quanto sarete diversi, quanto, forse, sarete sempre gli stessi.

Ecco, nell’immaginare questo futuro, proiettandovi nell’agosto del 2028, considerate che, durante l’edizione a stelle e strisce del 2028, sui giornali (se esiteranno ancora quelli cartacei), in TV o sulle prime pagine di qualche testata online, leggerete di due medaglie d’oro: una nel nuoto e una nella scherma.

E allora, immediatamente, vi catapulterete a quell’estate del 2024, più precisamente a fine luglio, quando una ragazza di appena 19 anni aveva sfiorato il podio per un solo centesimo e quando un ragazzo di 22 anni stava per battere il campione olimpico in carica nella finale maschile di fioretto per l’oro, cedendo all’ultimo punto.

Perché lo sport sa essere brutale, ma sa anche insegnare. Perché lo sport toglie, ma, prima o poi, restituisce.

Nella serata di ieri, 29 luglio 2024, due ragazzi hanno sfiorato la più grande soddisfazione che uno sportivo possa provare. Ma soprattutto, ieri, due ragazzi giovanissimi, hanno imparato una lezione che non scorderanno mai.

Alle 21.30 va in scena la finale femminile dei 100mt rana. In corsia n.1 gareggia la classe ’05 Benedetta Pilato, alla seconda apparizione olimpica ad appena 19 anni. Non si presentava con il miglior tempo in qualifica, né tantomeno fra le favorite. Eppure, nella corsia più in fondo si vedeva che teneva testa alle più forti del mondo. Dopo la virata, ogni volta che sbucava da fuori dall’acqua era lì, in linea con le prime.

Ancora pochi metri, ancora uno sforzo per poter conquistare quella medaglia tanto sognata. Arrivata. Si gira. Attende i risultati. Prima la Schoenmaker (1:05.28), seconda la Tang (1:05.54), terza, la Mc Sharry (1:05.59). E poi lei, Benedetta Pilato, un centesimo dopo: 1:05.60.

Tanto dolore, immenso. A un centesimo da metallo meno pregiato, ma che sul collo di Benedetta sarebbe stato più importante di un’oro. Nonostante ciò, la ragazza classe 2005 impara una grande lezione e ce la insegna a noi:

“Ci ho provato fino alla fine, mi dispiace… però sono lacrime di gioia, ve lo giuro. Sono troppo contenta, è stato il giorno più bello della mia vita”. “Ma veramente?”, le chiedono, e la Pilato spiega: “Sì, perché io sono troppo contenta, un anno fa io non ero neanche in grado di farla questa gara. Ci ho provato dal primo metro, ve lo giuro, peccato”

Benedetta ha capito e apprezzato l’importanza di esserci, di aver vissuto questa gara. Un privilegio enorme, anche se non è stato ripagato con la giusta gratificazione.

Alle 22.20, va in scena la finale maschile di fioretto. Finalmente, dopo le tante critiche, la scherma italiana può portare a casa una medaglia. Forse, quella più pregiata. A contendersi l’oro c’è Cheung Ka Long, Honk Kong, campione olimpico in carica, e Filippo Macchi, Italia. Il campione in carica favorito contro un 22enne su cui nessuno aveva (ed avrebbe) scommesso un euro.

Stoccata dopo stoccata, affondo dopo affondo, Filippo è lì, attaccato con le unghie al punteggio. L’asiatico allunga e lui lo riprende. Spavaldo, orgoglioso, senza paura di perdere, capace di giocarsi ogni punto. Fino in fondo. Arriva il sorpasso, ora il traguardo è vicino. Sei padrone del tuo destino Filippo!

Sul 14-12, ha addirittura tre possibilità di chiuderla. Niente da fare, si arriva al pareggio. Tensione massima da entrambe le parti. Per due volte la moviola decide che il punto va ripetuto. Alla terza occasione però, è il campione in carica a vincere. Cheung Ka Long è ancora medaglia d’oro. Filippo Macchi si getta a terra incredulo. Non lo accetta. Il suo allenatore, Stefano Cerioni si scaglia contro gli arbitri e indica il suo ragazzo come il vero campione olimpico.

Eppure Filippo, a differenza di benedetta, ha una medaglia olimpica al collo. Ed è argento. Passata la delusione e smaltita l’adrenalina capisce a fondo cosa ha appena vissuto:

Scusate se non sono venuto prima, ma credo possiate capire la mia delusione. La scherma è una sport a discrezione degli arbitri, ma è colpa mia perché era sul 14-12 e dovevo chiuderla prima. Ora bisogna guardare avanti perché c’è ancora una prova a squadre e lo devo ai miei compagni. Dalla scherma azzurra ci si attendono sempre tante medaglie, ma sul podio salgono soltanto in tre, la nostra disciplina si è evoluta in tutti i paesi. Cheung è un campione”

Un’altra grande lezione. Ognuno di noi, come nello sport, così nella vita, è artefice del suo destino. Troppo facile attaccarsi a quel centimetro o a quella decisione arbitrale. Benedetta è consapevole del fatto che sa avesse spinto di più, forse avrebbe vinto anche l’argento. Filippo è consapevole del fatto che, come affermato da lui stesso, se avesse chiuso la partita quando era avanti di due punti, adesso sarebbe ancora più sorridente con l’oro al collo.

Nella serata di ieri, 29 luglio 2024, due ragazzi hanno sfiorato la più grande soddisfazione che uno sportivo possa provare. Ma soprattutto, ieri, due ragazzi giovanissimi, hanno imparato una lezione che non scorderanno mai.

Perché lo sport insegna. Perché lo sport, soprattutto, restituisce quello che ti ha tolto.

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