Ci hanno chiesto di recensire Memorie olimpiche – Storie di campioni (e spettatori) (ed. Succedeoggi Libri, 65 pg, € 16), su Amazon in vendita dal maggio dello scorso anno. Un lavoro agile e scorrevole realizzato da diversi autori, ognuno dei quali racconta un personaggio che ha fatto la storia delle Olimpiadi estive. L’editore rilancia l’opera in vista di Milano Cortina dopo averla data alle stampe in previsione dei Giochi di Parigi.
I racconti sono di Gianni Cerasuolo, Loretto Rafanelli, Valentina Fortichiari, Pasquale Di Palmo, Alberto Fraccacreta, Filippo La Porta, Corradino Mineo, Marco Vitale, Gabriella Mecucci, Giuseppe Grattacaso, Flavio Fusi, Paolo Vanacore, Giuliano Compagno, Arturo Belluardo e Valeria Viganò. Non abbiamo compreso perfettamente il criterio con il quale sono stati scelti i protagonisti di questi racconti, scritti e bene e con stile coinvolgente. Ci sembra che sia stata una scelta troppo mainstream, dettata forse dalla grande mole di dati e scritti che, prima di questo libro, ne hanno raccontato gesta e aneddoti.
Per capirci, sappiamo tutto o quasi, anche prima di queste memorie, di Dorando Pietri, Johnny Weissmuller, Jesse Owens, Mohamed Alì, Abebe Bikila, Dick Fosbury, Marcello Fiasconaro, Mark Spitz, Pietro Mennea, per citare i più noti. I racconti non aggiungono nulla ma hanno il pregio di sintetizzare in poche pagine figure uniche nel panorama sportivo mondiale con bello stile e un racconto agile.
La mia attenzione, però, si è concentrata sulla prefazione, di cui riporto il primo periodo: “Prima di essere quel grande supermarket di chiacchiere e immagini che sono diventati da qualche tempo, i Giochi Olimpici erano una faccenda di persone. E basta. Chi li ha reinventati, il barone De Coubertin, diceva che l’importante è partecipare, non vincere, e non aveva tutti i torti, all’inizio. Donne e uomini delle Olimpiadi hanno colpito l’immaginario in quanto persone comuni, prima che campioni. Così, almeno, quindici scrittori qui ricostruiscono le avventure di altrettanti protagonisti (noti, immortali, talvolta dimenticati) di una vicenda umana che solo casualmente passava per le maglie dello sport e della sua massima competizione della modernità.”
La frase ‘l’importante è partecipare non vincere’ non è mai stata detta da Pierre De Coubertin. Gli storici dell’Olimpismo sono ormai concordi nell’affermare che la primogenitura di questo concetto fu del vescovo della Pennsylvania, monsignor Ethelbert Talbot che durante un sermone nella cattedrale di Saint James agli atleti riuniti per i Giochi di Londra del 1908 disse “… i Giochi stessi sono meglio della gara e del premio”. Il Barone la riprese e trasformò, in un discorso a un banchetto offerto dal governo britannico il 24 luglio 1908 durante i Giochi olimpici di Londra: “Il vescovo della Pennsylvania lo ha ricordato in termini appropriati: ‘In queste Olimpiadi, la cosa importante non è vincere, ma partecipare.’ Signori, ricordiamo questa forte affermazione. Si applica a ogni impresa, e può anche essere presa come base di una filosofia serena e sana. Ciò che conta nella vita non è la vittoria, ma la lotta; la cosa essenziale non è conquistare, ma combattere bene. Diffondere questi precetti significa aiutare a creare un’umanità più coraggiosa e più forte, una che sia anche più scrupolosa e più generosa.” (vedi foto in apertura)
Credo che la frase, nell’accezione di De Coubertin, si adatti bene ad alcuni dei protagonisti di questo libro, penso in particolare a Jessie Owens o Mohamed Alì, i cui successi sportivi sono stati solo una parte della loro intensa lotta contro ingiustizie e segregazione. Più che di persone comuni direi che siamo al cospetto di persone eccezionali che hanno contrastato con spirito e animo olimpico i problemi comuni del loro tempo.
Seguendo proprio il dettato del Barone, in queste Memorie avrebbero potuto trovare posto anche altri personaggi, forse meno noti, ma altrettanto impegnati in una dura lotta per creare “un’umanità più coraggiosa e forte”.