Scacchi e Rinascimento: l’omaggio del gioco alle regine di allora

Negli ultimi anni del Quattrocento e poi nel Cinquecento non vi fu Corte che non annoverasse fra i suoi protetti qualche forte giocatore di scacchi.

Negli ultimi anni del Quattrocento e poi nel Cinquecento non vi fu Corte che non annoverasse fra i suoi protetti qualche forte giocatore di scacchi. Così il secolo ereditò dai moralisti medievali la visione di una vita umana simile al gioco degli scacchi con le sue lotte e le sue disuguaglianze in un ambiente nel quale il gioco era tenuto in gran conto sia fra i potenti, sia fra il popolo, e gli scacchi trovarono un terreno adatto per una grande diffusione e dominarono sovrani tra i giochi di quel tempo.

Dagli uomini più illustri alle più celebrate Corti, tutti conobbero e coltivarono gli scacchi, il divertimento gentile e ingegnoso del vero ‘cortegiano’.

Del resto che il gioco degli scacchi fosse il passatempo intellettuale preferito dai Signori del Rinascimento è fatto ampiamente attestato; ricordiamo, fra le numerose testimonianze, quanto scrisse Baldassar Castiglione dialogando intorno agli scacchi

“E che dite del gioco de’ scacchi? Quello certo è gentile intertenimento ed ingenioso, disse messer Federico, ma parmi che un sol diffetto vi si trovi; e questo è che se po’ saperne troppo, di modo che a cui vol esser eccellente nel gioco de’ scacchi credo bisogni consumarvi molto tempo e mettervi tanto studio, quanto se volesse imparar qualche nobil scienza, a far qualsivoglia altra cosa ben di così importanza; (..) Molti Spagnoli trovansi eccellenti in questo ed in molti altri giochi, i quali però non si mettono molto studio, né ancor lascian di far altre cose.”

Ed è noto che molti giocatori di scacchi italiani visitarono la Spagna così come molti giocatori spagnoli vennero in Italia e a volte vi si stabilirono, tanto è vero che nelle corti rinascimentali “si trovano tanti spagnoli eccellenti giocatori di scacchi”, come scrisse Innocenzo Ringhieri, gentiluomo bolognese, in “Cento giuochi liberali et d’ingegno” (Bologna 1551, dedicato a Caterina de’ Medici, regina di Francia).

E proprio negli ultimi anni del Quattrocento le regole del movimento sulla scacchiera della Regina e in subordine dell’Alfiere subirono drastici cambiamenti.

Ovviamente gli storici si sono posti il problema del perché dell’aumento della forza di gioco della Regina nell’ultima parte del quindicesimo secolo. La risposta è stata trovata nella figura di alcune Regine realmente esistite che in quel periodo si imposero alla attenzione del mondo.

In particolare tre furono le donne al centro del movimento scacchistico dell’epoca: due italiane, Lucrezia Borgia (1480-1519) figlia terzogenita di papa Alessandro VI a Ferrara, e Isabella d’Este (1474-1539) figlia primogenita di Ercole I a Mantova. E una spagnola, Isabella di Castiglia.

Tutte e tre giocavano a scacchi.

Alla loro influenza ‘politica’ fu attribuita anche la modifica negli scacchi, ma una risposta definitiva non è ancora stata data, anche se forse la verità è che all’epoca si sentiva la necessità di velocizzare il gioco e che i pezzi con minore possibilità di movimento erano appunto la Regina e gli Alfieri e quindi si operò su quelli, paludando il tutto come un omaggio alle regnanti allora più in vista.

Delle due Isabella abbiamo già parlato in precedenti articoli, vediamo qualche notizia in più su Lucrezia Borgia. Lucrezia Borgia nel 1502 sposò Alfonso d’Este (1505-1534) per cui andò a vivere a Ferrara. Lei era il suo terzo matrimonio, lui al secondo ( la prima moglie era stata Anna Sforza).

Divenne così cognata di Isabella d’Este, allora Marchesa di Mantova, che nel 1490 aveva sposato Francesco II Gonzaga, con la quale entrò subito in competizione.

In particolare Lucrezia decise di rivaleggiare con Isabella sul gioco degli scacchi, sia per il particolare interesse per gli scacchi che c’era a Ferrara sia perché anche il marito, Alfonso, era appassionato, tanto da essere ricordato perché arrivò a fabbricarsi personalmente i pezzi.

Così Lucrezia, stando alle cronache del tempo, per prima cosa commissionò un gioco degli scacchi all’intagliatore Brognolo per il prezzo di 5 ducati, per avere anche lei almeno un set di scacchi di artistica esecuzione.

Ma è stato anche appurato che al fine di apprendere rapidamente le regole del gioco e perfezionarsi, proprio come faceva Isabella a Mantova, nel 1506 mise a stipendio un “Francesco spagnolo maestro di scachi”, che percepiva un salario mensile di 3 lire marchesane.

Adolivio Capece

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Redazione
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