La Corte Federale d’Appello della FIGC si è recentemente pronunciata su un caso di particolare interesse relativo alla normativa Safeguarding, entrata in vigore nel 2024, pronunciandosi su un caso di abusi psicologici reiterati ai danni di giovani atleti da parte di un allenatore tesserato, rigettando il reclamo della società e del suo presidente, confermando le sanzioni irrogate.
La sentenza merita particolare attenzione non soltanto perchè è una delle prime in materia, ma soprattutto perchè rappresentante un vero e proprio manifesto del cd. “Safeguarding“, materia ancora poco nota in Italia ma che sta prendendo sempre più piede.
Al centro della vicenda vi è una rigorosa ricostruzione normativa del ruolo dello sport nella società, con particolare riferimento alla tutela dei minori. Come è noto l’attività sportiva è recentemente entrata a far parte del vocabolario costituzionale: l’art. 33 Cost. infatti, oggi sancisce il principio secondo cui “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”, ribadendo che l’attività sportiva non può prescindere dalla promozione di un ambiente sano, sicuro, inclusivo, in cui il benessere psico-fisico dell’atleta (e soprattutto del minore) prevalga rispetto alla mera prestazione ed al risultato.
Tutte le Federazioni, per questo motivo, hanno adottato delle proprie linee guida, nelle quali sono stati definiti i contenuti essenziali dei codici di condotta, gli obblighi dei dirigenti e dei tecnici e le procedure di “Safeguarding policy”, introducendo definizioni puntuali di condotte rilevanti quali abuso psicologico, discriminazione e condotta negligente.
Nel caso oggetto di esame della Corte d’appello federale è proprio su questi principi che si è fondata la responsabilità disciplinare dell’allenatore, ma anche e soprattutto della società e dei suoi dirigenti. La Corte evidenzia come le espressioni denigratorie rivolte ai giovani atleti integrino un abuso psicologico e una violazione frontale della dignità del minore. Di tale condotte risponde, in primis, il tecnico.
Quando deve rispondere la società?
La sentenza della Corte d’appello federale è decisamente esaustiva sul punto, sottolineando come fosse stata altrettanto grave tanto la mancata prevenzione dell’evento quanto la mancata reazione della società sportiva, pur informata dei fatti. La stessa, infatti, pur avendo adottato delle procedure interne e codici di condotta degli allenatori conformi con le linee guida impartite dalla Federazione, non aveva mai posto in essere concretamente delle azioni di sensibilizzazione sul tema.
Inoltre, dopo le prime segnalazioni, non erano state fatte indagini interne o adottati provvedimenti cautelari, ma solo un colloquio ritenuto “sbrigativo” con l’allenatore, minimizzato ed archiviato con un lapidario “lo sappiamo come è fatto ma ha 60 anni e non lo possiamo cambiare noi”.
La sentenza, nella motivazione ha affermato poi che, in capo alla società sportiva, vi è un “obbligo di agire per prevenire e contrastare ogni forma di abuso” che fonda una responsabilità diretta ed oggettiva in capo ad essa con conseguente condanna. Viene sancito poi un principio dirompente: gli adempimenti Safeguarding imposti agli enti sportivi non possono ridursi a un mero rispetto formale delle normative federali come avvenuto nel caso di specie.
La nomina del Responsabile Safeguarding, la sottoscrizione di policy e codici di condotta e l’adozione del Modello organizzativo, non bastano in termini di tutela se non accompagnati da comportamenti attivi e concreti di vigilanza, prevenzione e repressione delle condotte dannose da parte degli organi direttivi del sodalizio e del proprio responsabile interno.
Lo sport, stando alla sentenza, dev’essere veicolo di valori, tanto che il diritto alla salute e al benessere del minore non può mai essere subordinato al risultato sportivo, né giustificato da dinamiche di spogliatoio che non devono essere derubricate a semplici episodi goliardici tra sportivi.
Come anticipato, si tratta a tutti gli effetti di una pronuncia destinata a fare scuola e di un vero e proprio manifesto del Safeguarding che, per la prima volta, trova spazio nella giurisprudenza sportiva e che suona come un monito forte e chiaro per le associazioni sportive.