La tappa delle strade bianche, al Tour de France 111, ha regalato spettacolo ma non ha cambiato di un secondo la classifica. Ha detto qualcosa (oltre al successo di Turgis) che proveremo ad analizzare più avanti, anche alla luce dello stop di domani, ma alla fine lascia senza risposta la domanda di questi giorni: le strade bianche sono una moda oppure fanno bene al ciclismo?
Riassunto (e sintesi) dei capitoli precedenti: le squadre più importanti del Tour, a parte la UAE, hanno criticato la scelta degli organizzatori di inserire le strade sterrate nel percorso. “Una moda di cui non sentiamo il bisogno…” è stato detto.
In Italia ci siamo sentiti toccati sull’onore. Avevamo appena finito di bearci della scelta, come dimostrazione definitiva che il Tour copia il Giro. Come se le strade bianche fossero un’invenzione di RCS. In realtà così non è. Chi ha qualche anno sa che sono un’invenzione di Giancarlo Brocci, padre dell’Eroica di Gaiole in Chianti. Non è un caso che le prime due edizioni della corsa per professionisti Strade Bianche richiamavano proprio l’Eroica. Nell’organizzazione c’era anche lo zampino di Brocci. Poi RCS organizzazioni sportive decise di andare per la propria strada e si appropriò del nome Strade Bianche (ma non di Eroica). La calendarizzazione in primavera aiutò quella trasformazione necessarie affinché la corsa toscana assomigliasse in qualche modo alle classiche del Nord. Perché in questa storia è tutto un gioco di copiature: le strade bianche che oggi si vogliono far passare come modernità non sono altro che una copia del pavé di nordica memoria. RCS copiò fango e terra alle classiche del Nord. Oggi gli organizzatori di quelle classiche (ASO) copiano la copia.
Cosa sono le strade bianche? Per capire cosa rappresentano le strade bianche nel ciclismo dovremmo tornare all’idea iniziale del suo vero scopritore Giancarlo Brocci. Il quale ha spesso dichiarato che quelle strade sono la risposta alla modernità (intesa come progresso indiscriminato) e alla cementificazione (nel caso nostro, asfalto). Senza entrare troppo nel dettaglio possiamo dire che la sopravvivenza e riscoperta delle strade bianche, per il ciclismo e per un’economia locale come quella della valle del Chianti, hanno rappresentato una risposta resiliente di preservazione del territorio e sua valorizzazione. Lo stesso spirito che ha animato, in oltre 100 anni di storia, la sopravvivenza di una classica come la Parigi Roubaix. Quindi nulla di nuovo sotto il sole: soltanto un geniale adattamento alla realtà della Toscana quanto realizzato al Nord. Una risposta postmoderna che si lega ad una concezione antica del ciclismo: “La bellezza della fatica e il gusto dell’impresa”.
Ci chiediamo, c’è tutto questo nelle strade bianche del Giro d’Italia e adesso del Tour? C’è, per capirci, la ricerca di strade bianche in grado di servire un territorio nella loro funzione primaria di collegamento e preservarle alla cementificazione; c’è la cura e l’amore del paesaggio?
Non ci sembra. Appare solo un modo per fare spettacolo e questo non ci piace. Anche perché (e la prova l’abbiamo avuta oggi), alla fine non abbiamo visto i distacchi attesi. Dopo tanto tuonare (attacchi di Evenepoel e Pogacar) neanche una piccola goccia di pioggia. I distacchi sono rimasti quelli e possiamo solo leggere tra le righe di questa prima settimana per provare a fare il punto.
Pogacar è sicuramente quello che al momento sta meglio. Quando attacca fa male e sul Galibier è riuscito anche a staccare i due diretti avversari, che sono (altro verdetto della settimana) Vingegaard e Evenepoel. Ci sembra, però, che lo sloveno abbia fretta di chiudere la partita. Forse sa bene che la sua condizione è destinata a calare (sono due mesi che va a tutta) e cerca di battere il ferro finché è caldo. D’altra parte è chiaro che a Vingegaard manca veramente poco per colmare il gap. La sua condizione in crescita potrebbe avere una doppia evoluzione. Mostrare un’improvvisa crepa (classico alto/basso di una condizione ancora incerta), oppure migliorare decisamente nel corso del Tour. Allora sarebbero dolori per Pogacar, perché se al momento è leggermente avanti, poi potrebbe essere decisamente dietro.
Per quanto riguarda Evenepoel, al momento il belga appare inesperto e spesso distratto. Quando ha attaccato non ha fatto male ai due più accreditati avversari. Temiamo per lui quando arriveranno le grandi montagne che, come il ciclismo di tutti i tempi insegna, sono l’unico vero giudice, oltreché indiscutibile scenario di spettacolo.